martedì 7 settembre 2010

Aspettando il vero RealMou

Siamo solo al 7 settembre e vedo già inopinati segni di impazienza. Il Real Madrid di Mourinho è ancora tutto da scoprire e lo scetticismo comincia a serpeggiare tra i tifosi e sui media iberici. Intendiamoci, i problemi ci sono, ma mi sembra troppo presto per voler già tirare conclusioni come ha fatto ieri, ad esempio, l'ex ct spagnolo Aragones parlando a Radio Cope e affermando di vedere "Il Barcellona favorito per la Liga e il Real Madrid abbastanza lontano".
Mourinho, come ci ricorda oggi AS, è allenatore del Madrid da 100 giorni, ed ha diretto 46 allenamenti, di cui solo dieci, però, con la rosa al completo. Il Real, in realtà, non può ancora avere un gioco ben definito: non potrebbe averlo già solo per il cambio di allenatore, ma la situazione è peggiorata dal fatto che in realtà i giocatori nei punti nevralgici del campo sono completamente diversi dallo scorso anno e non hanno avuto tempo di ambientarsi. Prima di tutto l'infortunio di Kakà ha costretto il tecnico ad accelerare i tempi di inserimento di Ozil, che contro il Penarol e il Maiorca ha dimostrato di non trovare ancora i compagni. Qualche segnale in più è venuto da Canales che però deve mettere su muscoli e abbandonare qualche leziosità di troppo per non diventare la brutta copia del già brutto Guti. In questo senso potrebbe rivelarsi pericolosa la cessione di Van der Vaart anche perchè dopo i rimpianti per Robben e Sneijder si rischia il tris di cessioni olandesi incaute.
In attacco Higuain deve dimostrare che Valdano ha avuto ragione nell'imporre il veto all'acquisto di un altro attaccante, mentre Benzema, infortunio a parte, deve uscire dai suoi equivoci tattici e far vedere finalmente la personalità che aveva a Lione. Per il francese ci sono tre mesi decisivi per riagguantare il treno-Real, se non si mette a segnare con continuità per lui ci sarà probabilmente il trasferimento a Manchester (sponda United) o Liverpool, che sarebbe, beninteso, una svendita rispetto ai 20 milioni pagati la scorsa estate al Lione.
L'impressione è che molto dipenda, ancora, da Cistiano Ronaldo che, infatti, è l'uomo che ha giocato di più nell'era Mou, 439 minuti: il problema è che Cr9 sembra ingabbiato nel brutto se stesso visto al Mondiale. Così come con la maglia del Portogallo si aggirava smanioso per il campo in cerca del pallone, convinto di poter tirare fuori dal cilindro una meraviglia per far sognare i lusitani, così si è comportato in questo avvio di stagione. Cristiano corre dovunque, scalcia, s'incavola, s'intestardisce nel dribblig e nello scatto quando la forma fisica non può ancora essere al top. Lo stop per l'infortunio potrebbe portargli consiglio. Per il Madrid sarebbe auspicabile che Cr9 riflettesse sulla franse pronunciata da Mou a chi gli chiedeva subito spettacolo con il suo Real: "Sono un allenatore, mica Harry Potter".

sabato 21 agosto 2010

In bocca al lupo, capitano

Si volta pagina, comincia l'era Mou, ma, soprattutto, comincia la storia del Real Madrid dopo Raul. Il capitano scenderà oggi in campo con lo Schalke 04 nella prima giornata del campionato tedesco e questo per i tifosi merengues significa molto.
Cominciai ad appassionarmi al Real Madrid da ragazzino, era l'84, vidi in tv i madrileni eliminare l'Inter in semifinale di Coppa Uefa vincendo 3-0 al Bernabeu dopo aver perso 2-0 a Milano. L'anno dopo stessa musica: 3-1 per l'Inter nella semifinale d'andata e 5-1 ai supplementari per il Madrid al ritorno. Quella doppietta era opera del grande talento al tramonto di Santillana ma anche dell'alba della quinta del Buitre, la generazione di talenti (Butragueno, Michel, Sanchis e Martin Vasquez) che mi fecero diventare definitivamente tifoso del Real. Il simbolo era ovviamente El Buitre che quando lasciò Madrid sembrava essere insostuibile.
Poi arrivò Raul: era cresciuto nelle giovanili dell'Atletico, mica c'era da fidarsi. Ma Valdano scommise sul ragazzino e ci regalò un nuovo eroe che ha vinto e segnato più di Butragueno, ma condivide con lui un doppio, amaro, destino: non aver mai vinto con la nazionale spagnola e non avere in salotto un pallone d'oro. Butragueno era un ragazzino in panchina quando la Spagna perse la finale di Euro '84 contro la Francia di platini e poi non avvicinò mai più atri trionfi con la Furie Rosse. Raul dopo una vita in nazionale e' rimasto fuori dalla lista dei trionfi di Euro2008 e dei Mondiali 2010.
Anche il pallone d'oro ha sempre beffato i due: el Buitre arrivò terzo nel 1986 dietro Belanov e Lineker, mentre l'anno dopo si piazzò dietro Gullit e Futre. Raul l'ha sfiorato nel 2001, finendo secondo dietro il bluff Owen.
Intorno a loro sono passati tanti campioni, da Hugo Sanchez a Valdano, da Stielike a Laudrup, da Figo a Ronaldo, da Zidane a Roberto Carlos. Ora, magari grazie all'auspicata spagnolizzazione del Real da parte di Florentino Perez, non ci resta che aspettare il prossimo simbolo del madridismo. In bocca al lupo, capitano.

sabato 17 luglio 2010

Mou, tieni d'occhio Canales

Sarà il ragazzino di Santander Sergio Canales a dare ufficialmente il via alla nuova stagione calcistica per i tifosi del real. Mentre Mourinho fa sgambettare i primi dieci giocatori nel pre-ritiro di Madrid, per il neoacquisto madrileno è già tempo di entrare in campo per inseguire il sogno di vincere il campionato europeo Under 19.
Il centrocampista offensivo ("il mio idolo è Zidane") si è già consacrato lo scorso anno quando ha segnato sei gol nelle quindi partite giocate con il Racing Santander, la squadra della sua città: al di là delle reti il ragazzino che si è fatto multare a marzo scorso per aver già posato con la maglia delle Merengues, ha dimostrato già ottima personalità in campo. E gliene servirà parecchia per farsi largo nel Real delle stelle.
Lui, per ora, vuole imparare e farsi notare da Mou che di certo non si perderà le partite della Spagna baby che vuole tornare al successo europeo U19 dopo il digiuno seguito ai quattro titoli consecutivi dal 2002 al 2007.
Gli spagnoli sono in un girone durissimo, con Croazia, Portogallo e con l'Italia, che punta su Borini, uno che il salto nel gotha del calcio europeo l'ha già fatto da un paio d'anni, visto che è uno dei pupilli di Ancelotti al Chelsea.

mercoledì 26 maggio 2010

Mourinho sì, ma con fiducia piena e a lungo termine

Florentino Perez ha oggi ufficialmente annunciato l'esonero di Pellegrini e l'arrivo di Mourinho. Un annuncio che, speriamo, porti a una svolta vera. Il Real Madrid deve trovare nell'allenatore portoghese quella testa pensante che è mancata in questi ultimi dieci anni e che sia capace di aprire un ciclo di risultati al Bernabeu. Fa bene Perez ad affidarsi a Mourinho ma ne' lui, ne' i tifosi devono aspettarsi qualcosa di diverso da quello che può offrire l'allenatore portoghese: la paziente, e costosa, costruzione di una squadra che non gioca in maniera spettacolare, ma vince.
Di questo credo siano consapevoli i dirigenti madrileni e lo si evince dalle poco velate critiche che Mourinho ha ricevuto negli anni scorsi, ad esempio, da Valdano. Perez, invece, non credo abbia capito fino in fondo la questione, ma è circondato da "yes men", come dimostra l'improvviso cambio di rotta dell'ex punta argentina.
Mourinho può essere la guida giusta per il Real e, soprattutto, può aprire un ciclo a medio-lungo termine. Ce n'è disperatamente bisogno: da quando Del Bosque venne congedato frettolosamente dopo due Champions League vinte (2000 e 2002), due campionati (2001 e 2003), una Supercoppa di Spagna (2001), una Supercoppa Europea (2002) e una Coppa Intercontinentale (2002), la panca del real e' stata ballerina e la bacheca mezza vuota. In sette anni, dal 2003 a oggi abbiamo avuto nove allenatori:
Carlos Queiroz, Jose' Antonio Camacho, Mariano García Remon, Vanderlei Luxemburgo, Juan Ramón López Caro, Fabio Capello, Bernd Schuster, Juande Ramos e Manuel Pellegrini. In sette anni abbiamo vinto due campionati e una supercoppa di Spagna. Il tutto spendendo decine di milioni di euro.
Un ciclo di vittorie sembrava potesse essere costruito da Capello che, infatti, ci ha portato una vittoria nella Liga, ma, soprattutto, un gioco convincente e vincente. Ma è stato cacciato via dopo una sola stagione perchè non faceva spettacolo. Ecco, questo è il rischio che si corre con Mourinho, che probabilmente si contende il titolo di miglior allenatore del mondo proprio con Don Fabio: lo spettacolo che Florentino vorrà dalla prima partita, la mancanza di pazienza. Mou all'Inter nella prima partita di campionato pareggiò 1-1 con la Samp e alla seconda batte' 2-1 il Catania con due autogol. Chissà se il Bernabeu saprà aspettare pur di tornare sul tetto del mondo.

domenica 16 maggio 2010

Zero tituli: ora paghi chi deve pagare

Torno sul blog dopo un lungo silenzio successivo all'eliminazione dagli ottavi di finale di Champions League. Ho atteso in silenzio questo finale di stagione in cui le Merengues potevano dimostrare di avere cuore e testa per poter rimontare in campionato e chiudere in maniera dignitosa la stagione. La possibilità c'era: il Barcellona di questo 2009/2010 non era stellare come quello dell'anno scorso. Ma questo Real Madrid ha dimostrato di essere troppo mediocre per poter perseguire un obiettivo che, pur sulla carta, poteva essere alla sua portata.
La Liga è finita ieri sera con il Barcellona che ha imposto la sua legge al Valladolid, battendolo 4-0, mentre il Real non è riuscito a vincere neanche a Malaga, anzi, è tornato a casa con un 1-1 che ha regalato la salvezza ai simpatici uomini di Ramón Muñiz, che come secondo allenatore ha scelto Dely Valdes, l'ex attaccante panamense del Cagliari.
Dopo una campagna acquisti da oltre 250 milioni di euro il Real Madrid chiude quindi la stagione con i tanto temuti "zero tituli": eliminato dalla Coppa di Spagna per mano dell'Alcorcon (club di terza divisione), dalla Champions dal modesto Lione e asfaltato in campionato dal Barca che si è preso il lusso di farsi superare in classifica prima di venire a vincere 2-0 al Bernabeu, umiliandoci e vincendo in carrozza la sua ventesima Liga.
Ora Florentino Perez, l'uomo della fallimentare stagione dei "Zidanes y Pavones" e delle disastrose scelte tecniche di questa stagione, tiri le somme. Nel calcio del 2010 non si può pensare di vincere mettendo insieme più palloni d'oro possibili. Non si può prescindere da un allenatore che abbia la personalità giusta per imporre sacrifici alle stelle. Non si può fare a meno di tagliare i rami secchi che, alla lunga, destabilizzano lo spogliatoio. Non si può costruire una difesa su ragazzi di belle speranze e non sostituire a gennaio il miglior difensore centrale, Pepe, che si è da poco infortunato per il resto della stagione. Non si può, soprattutto, assistere inermi ad una squadra che non dimostra un briciolo di personalità in nessuna delle partite che davvero contavano nella stagione. Il Real ha chiuso sì la Liga a quota 96 punti in 38 partite ma ha perso tutte le partite-chiave della stagione a cominciare dalla doppia sfida con il Barca, per finire al doppio scontro con il Lione, finito con un ko e un pari al ritorno.
E' la seconda annata consecutiva senza vincere niente. Ora i conti vanno fatti. Davvero.

giovedì 11 marzo 2010

The day after - Le ragioni di una disfatta

Non è bastato un mercato estivo da 260 milioni di euro. Non è bastato un Bernabeu pieno ed entusiasta dpo la rimonta sul Siviglia. Non è bastato il gol di Cristiano Ronaldo dopo dieci minuti. Anora una volta il Real Madrid esce dalla Champions League agli ottavi di finale: dopo Juventus, Arsenal, Bayern Monaco, Roma e Liverpool, ieri sera è toccato all'Olympique Lione eliminarci appena avevamo messo il naso fuori dalla fase a gironi. La disfatta brucia, ma pone anche la necessità di una seria analisi sul percorso che ha portato al fracaso.
1) Pellegrini: l'allenatore cileno ha dimostrato ieri ancora una volta di non avere l'esperienza e il coraggio giusti per portare una squadra avanti in Europa. Claude Puel nell'intervallo ha cambiato il volto del Lione, rimpinguando il centrocampo e prendendo il sopravvento nel gioco. Pellegrni non ha saputo rispondere a tono, anzi, ha peggiorato la situazione con l'ingresso di Van der Vaart al posto di Granero, lasciando in campo un Guti che aveva regalato lampi solo nei primi venti minuti di gioco. IL risultato è stata la fine del filtro a centrocampo e un'impostazione troppo offensiva con Sergio Ramosa e Arbeloa poco disciplinati tatticamente.
2) Il mercato: dopo aver speso 260 milioni di euro in estate per Cristiano Ronaldo, Kakà. Xabi Alonso e Benzema, Florentino Perez e il so braccio destro Valdano non hanno ritenuto di mettere mano al portafogli a gennaio per sostituire Pepe che si è infortunato a dicembre e non tornerà prima di giugno. Il club ha deciso di lasciare le cose invariate in difesa affidandosi a Raul Albiol, Garay, Ramos e Arbeloa. Un grave errore sia per la mancanza di ricambi affidabili sia per la solidità di una difesa che deve essere blindata per poter reggere l'urto di una squadra a vocazione chiaramente offensiva. Quando il Real non comanda il gioco non ha sostanza dietro: lo si è visto nel primo tempo contro il Siviglia e nella seconda frazione contro il Lione. Con gli andalusi è andata bene ma non può essere sempre festa.
3) Il bluff Guti: Il Real è gestito in maniera umorale. La dimostrazione perfetta è la presenza di Guti in campo per tutti i 90' contro il Lione: il centrocampista blanco aveva dimostrato negli anni con chirurgica precisione di non avere la stoffa per guidare la squadra nei momenti topici, Pellegrini lo aveva capio e lo aveva messo ai margini salvo poi ripescarlo a furor di popolo dopo il tacco al Deportivo la Coruna trasformandolo nel regista della squadra. Ieri, ancora una volta, Guti ha dimostrato la sua inconsistenza: ben marcato dai francesi non ha cercato movimenti o spazi, ma ha abdicato completamente al suo ruolo, cominciando a vagare per il campo pronto solo ad affidare la palla a Diarra che ha dovuto sobbarcarsi il compito di far partire le azioni. Senza qualità.
4) Il Cristianocentrismo: Incapace di trovare un gioco che sfrutti al meglio le potenzialità dei tanti campioni, Pellegrini ha deciso di basare tutto il gioco della squadra su Cristiano Ronaldo. Il portoghese è il terminale di tutte le azioni offensive, è spinto all'individualismo e quando decide di coinvolgere i compagni non ha punti di riferimento. Ieri Higuain, dopo l'incredibile gol sbagliato a porta vuota, ha cominciato a girare al largo, giocando quasi in posizione di ala, lasciando vuota l'area francese. Lo stesso dicasi per Kakà che ha grande intelligenza tattica ma non è un individualista a differenza di Cristiano: nel Real attuale, però, è costretto a far tutto da solo e gira a vuoto. Le sue qualità individuali si esaltano negli spazi, ma il Real non è capace di giocare in contropiede e quindi Kakà finisce per fare semplicemente da sponda a Cristiano.
5) La prevedibilità: Quando non ha palla Cr9 il gioco madrileno è prevedibilissmo. Contro il Lione, nella ripresa, l'unico tema tattico erano i cross di un lentissimo Sergio Ramos dalla destra. Impossibile segnare.
Questi solo alcuni degli asptti che hanno portato all'ennesimo fallimento europeo in una stagione che si concluderà con la finale di Champions al Bernabeu dove rischiamo ora di vedere trionfare il Barcellona. Ad Ancelotti, Mourinho o Ferguson il compito di salvare il popolo blanco da questa ennesima umiliazione.

domenica 28 febbraio 2010

Raul, dieci minuti per due record

E' entrato al 79', ma quella decina di minuti giocati contro il Tenerife sono bastati a Raul per portarsi a casa altri due passi avanti nella storia del Real Madrid. Il capitano, al suo ingresso in campo al posto del suo erede Higuain, è infatti diventato il terzo giocatore con più presenze nella storia del campionato spagnolo: Raul è infatti a 542 partite giocate a pari merito con Buyo ed a una sola presenza di distanza da Eusebio che nel campionato spagnolo ha giocato 543 gare in tutto. Il primato rimarrà comunque di Zubizarreta che ha giocato in carriera 622 partite nella Liga.
Il gol che ha chiuso la goleada al Tenerife, la sesta vittoria consecutiva in campionato delle Merengues, permette poi al numero sette madrileno di raggiungere Di Stefano al terzo posto nella graduatoria dei massimi cannonieri della Liga a quota 227 gol (una media in campionato di 0,41 gol a partita, quindi). Raul ora è ateso da una sfida difficilissima, quella di segnare altri sette gol da qui alla fine della stagione, che potrebbe essere l'ultima con il Real e in Spagna, per raggiungere Hugo Sanchez che è al secondo posto della graduatoria con 234 reti. Irrangiungibile il recordman Zarra, bomber dell'Athletic Bilbao del dopoguerra, che è a quota 251 gol.

lunedì 15 febbraio 2010

La maledizione degli ottavi

Domani il Real Madrid viaggia a Lione per l'andata degli ottavi di finale di Champions League. L'accoppiamento non è tra i più difficili, ma tocca diffidare. Prima di tutto perchè la squadra di Claude Puel, l'uomo che pose le basi per il Monaco che arrivò in finale di Champions nel 2004, non ha mai perso in campionato dall'inizio del nuovo anno e poi perchè per le merengues lo scoglio degli ottavi è insormontabile da un lustro.
Sono infatti cinque anni che veniamo puntualmente fatti fuori dalla coppa appena mettiamo il naso in un turno a eliminazione diretta: lo scorso anno agli ottavi siamo stati fatti fuori dal Liverpool perdendo 1-0 a Madrid e 4-0 in Inghilterra. Nel 2007/08 siamo usciti ancora agli ottavi perdendo all'andata e al ritorno 2-1 con la Roma con Taddei e Vucinic che vennero a fare i fenomeni al Bernabeu dopo che Mancini ci aveva fatti neri all'Olimpico.
Nel 2006/07, dopo aver perso 2-0 col Lione nel girone, ci eravamo arresi, ancora agli ottavi, contro il Bayern Monaco. L'anno prima ci aveva fatto fuori l'Arsenal, ancora una volta agli ottavi. Nel 2004/05 eravamo stati sbeffeggiati dalla Juventus, che dopo l'1-0 subito al Bernabeu c'aveva battuti 2-0 a Torino. L'ultimo passaggio ai quarti risale quindi al 2003/2004 quando un gol di Zidane al Bernabeu (foto) ci permise di eliminare il Bayern Monaco dopo l'1-1 in Germania.
Stavolta ci tocca il Lione che delle avversarie fin qui elencate sembra inferiore, ma la difesa madrilena senza Pepe deve ancora dare conferme in Europa e Lisandro Lopez mi preoccupa non poco. La speranza è legata alle nuove stelle Cr9 e Kakà, ma anche a Benzema che ha l'ennesima occasione di dimostrare, nello stadio in cui ha vinto quattro titoli francesi, di avere la grinta per guidare il Real verso la decima coppa.

mercoledì 3 febbraio 2010

Bravo Guti, ma ora tornatene in panca

Mi alzo in piedi ed applaudo il taconazo di Guti che ci ha permesso di vincere in casa del Deportivo La Coruna dopo 18 anni di astinenza. Detto questo direi che la beatificazione del biondo centrocampista delle merengues possa finire qui.
Leggo in questi giorni sulla stampa spagnola che Guti sarebbe infatti l'uomo giusto per portare il Madrid alla decima Champions, giusto in tempo per fare le valige e andare in Sudafrica per portare la Spagna sul tetto del mondo. Leggo, complice le remissive dichiarazioni di Raul che accetta la panchina, che il capitano avrebbe lasciato proprio a Guti la leadership della squadra.
Non scherziamo: una domenica di grande qualità non cancella anni di anonimato di un giocatore che, a parte qualche guizzo, si è sempre dimostrato lezioso, poco concreto e dotato di scarsissima personalità, tre caratteristiche che, soprattutto nelle squadre "tutte primedonne" allestite da Florentino Perez, sono ancora più gravi.
Ricordo i suoi stucchevoli movimenti in mezzo al campo nel Real di Zidane, una squadra a cui il francese regalava profondità ad ogni tocco di palla, mentre Guti sembrava spesso remare contro, inventandosi giocate orizzontali che permettevano alle difese avversarie di organizzarsi a dovere. Nulla è cambiato da allora e la scelta del club di puntare su Xabi Alonso, uomo di cervello in regia ma anche di grande solidità in mezzo al campo, sembrava finalmente avviare un cambio di rotta, avallato da Pellegrini che, infatti, con Guti c'ha litigato subito, a inizio stagione.
Applauso a Guti, quindi, ma per rincorrere con successo il Barcellona del duo Xavi-Iniesta ci vuole molto di più di un colpo di tacco.

lunedì 11 gennaio 2010

Bianco, che più bianco non si può

Quando arrivò a Madrid nel mercato di riparazione 2006 venne accolto da non poco scetticismo. Giudicato poco "galactico" e troppo giovane, l'allora diciannovenne Gonzalo Higuain sembrava destinato a essere schiacciato dai grandi dello spogliatorio blanco, a partire da Raul e Van Nistelrooy. Ma il ragazzo nato in Francia e cresciuto in Argentina sapeva di poter sfondare a Madrid. Aveva rifiutato il corteggiamento del Milan per approdare al Bernabeu ed era pronto a studiare da merengue. Quella di Fabio Capello e Predrag Mijatovic si è però rivelata una delle scelte di mercato più azzeccate degli ultimi anni. Pagato "solo" 13 milioni, Higuain si è ambientato in fretta, segnando pure il gol del decisivo successo contro l'Espanyol che diede il titolo della Liga al Real. L'anno dopo è stato uno dei pochi a salvarsi dal disastro chiudendo la stagione a quota 22 gol tra campionato e coppe eppure in estate il club sembrava pronto a cederlo per fare spazio a un nuovo galactico, Benzema. Ma Higuain ha tenuto duro, ha relegato prima Raul e poi l'attaccante francese in panchina e oggi è la stella dell'attacco merengue, il terminale offensivo di quella enorme mole di occasioni che il trio Cristiano-Kakà-Van der Vaart ha dimostrato di saper costruire. E così nella neve del Bernabeu, Higuain è parso ancora più bianco, come il colore che era nel suo destino.
Anche in nazionale il suo destino è quello di dover fare a spallate: Maradona, forse per la sua origine sponda River, lo considera poco e gli ha preferiti spesso Aguero, Palermo, Denis, prima di schierarlo per le ultime due decisive partite che infatti hanno dato la qualificazione ai Mondiali alla albiceleste. In Sudafrica Higuain, che due anni fa rifiutò la convocazione per la francia di Domenech preferendo l'Argentina, ci sarà e sfiderà proprio la Spagna al primo turno. Ma prima di allora vuole vincere la Champions, sempre che, ancora una volta, il Real non decida di usarlo come pedina di scambio con l'Arsenal nell'affare Fabregas. Sarebbe delittuoso.
Ps. apprendo ora che contro il Maiorca si è procurato un infortunio muscolare che lo terrà fermo per le prossime tre settimane: caro Benzema, se sei davvero galactico hai le partite contro Bilbao, Malaga e Deportivo per dimostrarlo

sabato 2 gennaio 2010

Chendo-Camacho, amarcord a Pamplona

Sono stati per sei anni due pilastri della difesa del Real e domani sera si rivedranno su due panchine diverse: la prima sfida della Liga 2010 tra Osasuna e Real Madrid offre l'occasione per ricordare Miguel Portlan, detto Chendo, e Josè Antonio Camacho. Il primo è oggi delegato di campo del Real, il secondo allena l'Osasuna che ospita domani le merengues. Difensori dalle caratteristiche diverse, i due hanno giocato insieme dal 1983, quando Chendo trovò il suo posto di titolare fisso al Bernabeu, e il 1989 quando Camacho lasciò il calcio giocato dopo 16 anni al Real. Insieme hanno segnato un'era madridista, caratterizzata da due Coppe Uefa di fila ('85 e '86) e quattro titoli consecutivi della Liga ('86-'89).

Quella difesa spesso non era irresistibile, come dimostrò ad esempio il Milan di Sacchi in un paio di occasioni, ma si basava sulla forza fisica e su una forte caratterizzazione spagnola, rafforzata anche dalla presenza di Sanchis prima di Fernando Hierro poi.
Accomunati dalle origini della regione di Murcia, i due, curiosamente, vennero separati nel giorno dell'esordio del più giovane Chendo. Il difensore, infatti, giocò la sua prima partita di Liga con la maglia del Real l'11 aprile del 1982 contro il Castellon: in quella gara erano schierati solo giocatori della primavera madridista a causa dello sciopero dei calciatori professionisti spagnoli. Ma dalla stagione successiva Chendo e Camacho divennero due punti fermi e inseparabili dello scacchiere madrileno.
Dopo l'addio al calcio Chendo è rientrato nei ruoli dirigenziali del Real Camacho ha invece scelto la panchina senza però molte soddisfazioni sinora: dopo avventure non notevoli alla guida di Rayo Vallecano, Siviglia e Espanyol, è approdato al ruolo di ct della Spagna che arrese nei uarti degli Europei '98 contro la Francia di Zidane. Dopo un'esperienza al Benfica, con cui ha vinto la Coppa di Portogallo, unico trofeo vinto da allenatore, Camacho sbarcò sulla panca del Real Madrid nella disastrosa stagione 2002/03, ma la disastrosa esperienza durò solo tre mesi, prima dell'addio e del ritorno al Benfica.